Il premio Lux 2021

Per il premio Lux, istituito dalla Comunità europea, tre film, scelti da una giuria fra i dieci più importanti film europei dell’anno, dovevano, per la prima volta quest’anno, essere visti e votati anche dai cittadini, in modo che il premio tenesse conto della Critica e del pubblico in egual misura.
In Italia, in questo disgraziato periodo, in cui i cinema sono stati sempre chiusi per più di un anno, siamo riusciti a vederne solo due, Corpus Christi e Collective. Due trame agli antipodi: nel primo si parla di religiosità, nel secondo di corruzione politica. Non certo due mondi contrapposti, il Bene e il Male. Tutt’altro. Nel primo vengono in luce i guasti della religione, nel secondo i guasti della politica. Nel primo si affronta il misticismo, nel secondo si descrive la corruzione e chi la combatte. Il primo è una fiction
che a tratti sembra un documentario, il secondo è un documentario, ma non lo diresti.

Corpus Christi

La visione di Corpus Christi ha un effetto allucinatorio. La descrizione del regista polacco, Jan Komasa, al suo secondo lungometraggio, è filtrata attraverso gli occhi di Daniel, il protagonista. Inizialmente preda di feroci abusi fisici, ordinati, durante il lavoro “riabilitativo”, da un capobanda nel riformatorio dove entrambi scontano la pena, Daniel non prova nemmeno a reagire. Nel suo delirio mistico probabilmente si identifica con l’agnello di Dio, la vittima sacrificale che toglie i peccati dal mondo. E fa il chierichetto delle messe penitenziarie, unico modo di tener fede all’aspirazione di diventare prete, che la sua fedina penale rende però irrealizzabile. È accusato di un delitto, pare senza prove. Durante un permesso lavorativo in un paese lontano dal riformatorio, viene scambiato per un prete e si trova addirittura a sostituire il parroco, per una concatenazione di eventi ai quali non riesce più a contrapporsi. Le mille incertezze iniziali vengono superate dalla forza che il ruolo sociale di prete gli conferisce. Da subito, però, gestisce il sacramento in modi anticonvenzionali, mutuati dall’ esperienza catartica che il prete addetto al riformatorio imprimeva alla pratica religiosa dei condannati. Daniel, che riceve dal bravo attore Bartosz Bielenia occhi profondi e stralunati, occhi sicuramente responsabili della violenza distruttiva del capobanda del riformatorio nei suoi confronti, nella sua veste di prete riesce in breve tempo a fare seguaci appassionati. Affronta di petto anche le visioni distorte di un gruppo di parrocchiani, autorizzati dal vecchio parroco ad ergersi a giudici di una concittadina. Col suo operato riesce a farla riammettere nella comunità, rendendole il diritto di seppellire il marito, morto in un incidente stradale, insieme con le altre vittime della stessa tragedia. Costretto poi dal Sindaco a benedire una sua nuova segheria, investimento che sfrutta il lavoro dei carcerati, Daniel fa inginocchiare nel fango tutti i convenuti in abito da cerimonia, all’esterno dell’edificio, pronunciando un duro discorso contro chi vive per accumulare soldi. Una sparata contro il potere politico, che vorrebbe usare il potere religioso per sdoganare lo sfruttamento come beneficenza. Il finale, contrariamente forse alle stesse intenzioni del regista, si può leggere, per un non credente, come un recupero, seppure In circostanze drammatiche, di un minimo di sanità mentale da parte di Daniel.

Collective

In Collective il regista tedesco Alexander Nanau (nato in Romania) dimostra un talento fuori dal comune per l’ approccio cinematografico diverso da quello dei documentari televisivi convenzionali di carattere
investigativo. Riesce ad imprimere la suspence alla realtà, intervallandola con racconti di cronaca più pacati quando intervista sopravvissuti e loro familiari all’incendio divampato il 30 ottobre 2015 al Colectiv Club, un locale di Bucarest privo di uscite di emergenza. Muoiono 27 giovani e 180 rimangono feriti (di cui quasi 90 in condizioni critiche) e il governo rumeno promette che saranno curati “come sarebbero curati in Germania”. Lentamente ma inesorabilmente, invece, parte dei ricoverati muore. I giornalisti Catalin Tolontan, Mirela Neag e Răzvan Lutac decidono di indagare sulla vicenda, scoprendo che i degenti “sono stati tenuti in un ambiente non sanificato ed esposto a uno dei batteri nosocomiali più resistenti in Europa (pseudomonas aeruginosa)”. A seguito di tale informazione, il trio della Sports Gazette scopre che i disinfettanti forniti a 350 ospedali (e 2000 sale operatorie) dal fabbricante Hexi Pharma vengono diluiti fino a dieci volte la dose normale dopo la consegna. Una pratica che nasconde la corruzione a vari livelli, i meccanismi di elusione fiscale e le coperture segrete da parte dello Stato, che da tempo è al corrente di tale procedura.

Mentre Collective ti avvince narrando una terribile realtà che la politica crea in vari paesi, mai come vedendo Corpus Christi si deve riconoscere che la potenza ammaliatrice di un film non dipende da ciò che racconta, ma da recitazione e regia. E, da questo punto di vista, il premio, fra i due, lo merita Corpus Christi. Magari, come si dice, fra i due litiganti il terzo gode. Ovvero il terzo film che concorre al LUX award, Another Round, di Thomas Vinterberg, che ha già vinto l’Oscar per il miglior film internazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *